Un accenno di storia.
L’uomo ha iniziato a coltivare i cereali e quindi inserirli nella propria dieta, circa 10.000 anni fa. Tra questi il frumento, che ha avuto, successivamente, un’importanza particolare nell’alimentazione dei paesi occidentali.
Negli ultimi cento anni però, il cambiamento dei metodi agronomici ha dato inizio a una selezione genetica del frumento, che ha portato alla coltivazione degli attuali grani, definiti moderni, ottenuti con l’ausilio di fertilizzanti chimici industriali e attraverso l’irraggiamento con raggi gamma per facilitarne la raccolta con mezzi meccanici, che si sono caratterizzati da elevate produttività, da basso costo e, da ultimo ma non per importanza, da nanismo, i grani moderni sono piante alte all’incirca tra i 75 e i 90 centimetri, contro oltre i 180 dei grani antichi.
Nei primi decenni del Novecento infatti, con il dott. Nazzareno Strampelli, agronomo e genetista italiano, e l’appoggio del governo fascista, prese il via una selezione forsennata di varietà sempre più produttive e una continua modificazione genetica di tali graminacee. L’intento potè sembrare nobile in quanto la necessità primaria di quell’epoca era quella di poter sopperire velocemente alla carenza di cibo, a discapito però, della loro qualità organolettica e nutrizionale. Con lauti finanziamenti in favore della ricerca genetica in questo senso, si riuscì ad aumentare la produttività dei grani, che però, via via, si fecero sempre più bassi, un processo graduale che modificò nel tempo anche l’aspetto delle nostre campagne.
Ma in che modo l’altezza del fusto incide sulla qualità del grano?
Più basso significa, nella maggior parte delle piante in natura, anche con un impianto radicale proporzionalmente più piccolo e meno profondo e con un potere ridotto di assorbimento di acqua, di preziosi minerali e sostanze utili per la crescita. Il risultato è l’ottenimento di un chicco più povero sia a livello nutrizionale che organolettico.
I grani antichi, invece, si possono considerare dei veri e propri “superfoods“, che grazie anche alla profondità delle loro radici, assorbono dal terreno i micronutrienti di cui si nutre la pianta e li trasferiscono ai propri frutti, i chicchi con i quali otteniamo prodotti dal sapore distintivo, deciso e intenso.
A livello nutrizionale, i grani antichi si differenziano dai moderni innanzitutto per il loro bassissimo Indice di Glutine (una misura della forza strutturale del glutine), che li rende altamente digeribili e quindi adatti al consumo per chi ha difficoltà di assimilazione del glutine molto tenace dei grani moderni diverse dalla celiachia. A questo si aggiunge l’importante presenza di polifenoli antiossidanti e di minerali, quali Ferro, Zinco e Manganese, veri e propri attivatori enzimatici, che concorrono a facilitarne la digestione e quindi l’assimilazione da parte del nostro organismo e non si deve dimenticare l’elevato contenuto di fibre, che rallentano la velocità di assorbimento degli zuccheri da parte dell’intestino.
C’è da considerare anche che la produttività per ettaro molto più elevata nei grani moderni, si ottenne a fronte di una massiccia concimazione con alto dosaggio di idrocarburi e inquinanti nocivi. Al contrario, la coltivazione delle varietà antiche, più rustiche e meno bisognose di interventi da parte dell’uomo, si presta ai metodi e ritmi dell’agricoltura biologica che non permette l’utilizzo di sostanze tossiche come erbicidi e diserbanti di sintesi perché, proprio per la loro statura, risultano più forti e subiscono meno l’attacco di insetti e la presenza di infestanti.
La riscoperta e valorizzazione di varietà di grani antichi italiani, la nostra missione.
Terre e Tradizioni nasce nel 2012 per volontà di soci provenienti da settori ed esperienze diverse che hanno messo a fattore comune la scelta di recuperare e valorizzare varietà autoctone di grano quali Timilìa, Russello, Maiorca e Saragolla, tipiche dei rispettivi territori di provenienza coltivate secondo i metodi dell’agricoltura biologica, creando un progetto per la loro diffusione su scala nazionale, diventandone conservatore e “custode”.
Successivamente, dall’incontro con un mastro pastaio, nasce l’idea di valorizzare questi grani creando una linea di pasta (e altri prodotti finiti) in cui ritrovare il profumo, il sapore e il valore di questi antichi cereali.